Diceva che con il Cielo fosse una cosa sola: ''Nessuno mi può separare dall'Amore di Dio''. Lui, che qualche tratto divino l'aveva nei lineamenti, nei gesti e soprattutto nell'enorme talento, se ne andò un pomeriggio di 20 anni fa facendo la cosa che, dopo Dio, amava di più: la velocità. Andando al massimo. A 300 all'ora.
Bisogna che qualcuno te lo dica chi fosse davvero Ayrton Senna. Cosa puoi saperne tu, che vent'anni fa non eri ancora nato? Il mondo 2.0 brucia in fretta - anzi subito - i suoi protagonisti. Un'ora fa è il vecchio, ieri è il passato. E’ un modo diverso, quello del terzo millennio, di approcciare la storia. Tutto è così immediato, e l'istante dopo qualcosa distrae già l'attenzione. C'è altro da vedere. Vivere nella velocità è un dovere. Ecco, qui tra te e lui c'è una somiglianza che forse ti aiuta a capire chi fosse in realtà questo gentiluomo brasiliano. Amava la velocità, si diceva. Viveva per lei. Morì, per lei.
Imola 1989 - Ayrton Senna - Alain Prost |
Era l'1 maggio del 1994. Festa dei lavoratori. Forse fu l'unico giorno della sua vita, oltre che l'ultimo, in cui andò a lavorare contro voglia. Presagio di quello che sarebbe accaduto alle 14:17 di 20 anni fa? Forse (il Cielo gli era vicino, si diceva), ma soprattutto era quello che era accaduto nei giorni precedenti in quel maledetto fin di settimana imolese che lo turbava.
Ayrton Senna - Ratzenberger - Imola 1994 |
Era, Ayrton, il miglior pilota in circolazione, solo Alain Prost pareva poterlo insidiare. Era da poco approdato alla corte di Frank Williams, dopo i trionfi e i tre mondiali conquistati con la McLaren. Nel frattempo una diavoleria ingegneristica che teneva le monoposto incollate al suolo, quali erano le sospensioni attive, era stata abolita, circostanza che purtroppo avrebbe giocato un ruolo, assieme a troppe altre, sul suo destino terreno. Lui era il più forte e sicuramente il più veloce in pista. Nelle prime tre gare di quell’anno fatale non a caso partì sempre dalla pole position, di cui era il recordman, 65 in carriera.
Eppure già in Brasile, al debutto, e nel prosieguo, ad Aida, non era riuscito ad arrivare alla bandiera a scacchi, vittima di un testacoda a casa sua e di un incidente con Mika Hakkinen in Giappone. Primo al traguardo in entrambe le gare arrivò un certo Michael Schumacher, su Benetton. Che effetto fa pensare che, vent'anni dopo la scomparsa del 'rey', il kaiser tedesco sia in un limbo di incoscienza per danni cerebrali analoghi, anche se non fatali, a quelli che uccisero il tre volte iridato sette giri dopo il via del Gp di San Marino. Qualche astuzia tra i paletti del regolamento rendeva velocissima la macchina di Michael, ma soprattutto lui arrivava in fondo. La Williams no.
C'era qualcosa che disturbava la guida pulita (Ayrton resta l’eroe di sempre del giro perfetto) del miglior pilota della storia. Di certo, il nostro non sopportava di subire da quello sprezzante tedesco. E poi c'era qualcosa nella progettazione della sua macchina che non andava. Non c’era spazio a sufficienza, per le mani guantate, tra scocca e volante, le nocche sfregavano sul metallo che le circondava. I tecnici e i meccanici della scuderia fresarono quella parte del telaio, per dare maggiore agio alle manovre del pilota. Ma non bastava.
http://www.ansa.it/sito/notizie/magazine/numeri/2014/04/26/chiedimi-chi-era-ayrton_67293f1d-789c-48b2-a1dd-b9f45085145f.html