“Dov’eri quando è morto Ayrton Senna? Prova a fare questa domanda a chiunque. Ciascuno ti risponderà descrivendoti un luogo, il momento preciso”. Con questa frase di Dalla si apre il libro che Giorgio Terruzzi ha dedicato ad Ayrton Senna nel ventennale dalla sua scomparsa. E in quella frase c’è tutto. Il ricordo, la passione, l’amore, la dedizione del tifoso che quel pilota amò alla follia ma anche il segno che quell’uomo, prima ancora del pilota, ha lasciato anche in chi la Formula Uno non l’ha seguita mai.
“Suite 200. L’ultima notte di Ayrton Senna” ripercorre, in forma di racconto, le ultime ore prima della morte, prima di quel maledetto primo maggio 1994, giorno in cui, per noi che abbiamo sempre amato e seguito la Formula Uno, qualcosa si è rotto per sempre.
Terruzzi è tornato in quella stanza, la suite 200 appunto, all’Hotel Castello di Castel San Pietro Terme, dove Ayrton tornava ogni anno, dove ha lasciato il ricordo di un uomo mite, gentile, metodico (la stanza, dopo che lui l’aveva lasciata, era perfettamente in ordine). Quella stanza che lui aveva scelto perché, diceva, da lì si sentivano cantare gli uccellini al mattino.
Il libro parla di quel tragico week end, cominciato il venerdì con l’incidente a Rubens Barrichello e proseguito, poi, il sabato con la morte di Roland Ratzenberger. Una morte che scosse Ayrton nel profondo, che, forse, lo fece vacillare sul fatto di poter correre l’indomani. L’amico Sid Watkins, medico dell’intervento estremo, gli buttò lì una frase: “Ayrton, lascia perdere questa vita, non correre domani.. andiamocene via, andiamo a pescare”.
Terruzzi ci racconta l’ultima notte di Senna scandendola con minuti, ore. Una notte insonne in cui Ayrton ripercorre tutta la sua vita. E, allora, il bambino che era, taciturno, un po’ strano, che voleva essere uguale a tutti gli altri bambini e non far pesare la sua condizione privilegiata. E poi il rapporto col padre, Milton. Un padre padrone che voleva decidere e disporre della vita del figlio, regalandogli il primo kart a quattro anni, incitandolo a correre ma, poi, ostacolandolo in ogni modo quando Ayrton, già uomo, decise di trasferirsi in Inghilterra per rincorrere il suo sogno e la sua passione. Un rapporto difficile, fatto di amore e scontri.
senna1L’amore per la sua famiglia, a cui era legatissimo ma da cui sentiva il bisogno di emanciparsi. La madre Neyde, figura dolce e silenziosa che, due mesi dopo la morte del figlio, andò nella casa dell’Algarve, in Portogallo, per portare via ciò che era stato del figlio e come impazzita cercò, frugò dappertutto finchè Juracy, la vecchia governante, non le mise in mano un maglione che non era stato lavato, dove ancora c’era il profumo del figlio e lei se lo strinse forte al petto come fosse una cosa viva. Come tutti noi, che quando perdiamo qualcuno che tanto abbiamo amato, vogliamo toccare e sentire e annusare per sentirlo ancora lì, vicino a noi.
E poi la sorella, Viviane. Che fu la prima a salire sull’aereo appena atterrato a San Paolo e pianse disperatamente quel fratello tanto amato. Lei, che due anni dopo, nel 1996, perse anche il marito per un incidente motociclistico. Lei che, nonostante questo, ora, vede correre il figlio Bruno, così somigliante allo zio che se lo vedi col casco addosso devi chiudere gli occhi per pensare che quello no, non è Ayrton.
E poi, le donne. Le donne della sua vita, Lilian, l’unica moglie. E Xuxa, soubrette della tv brasiliana. E Cristine, l’unica donna con cui dormì la notte prima di un Gran Premio, proprio lì, a Castel San Pietro. Lui, che la sera prima di ogni gara, voleva dormire solo. E l’ultima, Adriane. Bella, giovane, spensierata, forse un po’ troppo leggera per la sua famiglia. Tanto da osteggiarla in ogni modo e con ogni cattiveria.
E poi, le corse. Amici e nemici. Gerhard Berger, compagno di squadra in McLaren, amico fraterno, così diverso da lui ma che tanto bene gli voleva. O Nelson Piquet, che ormai verso fine carriera, irritato da questo giovane pilota che non aveva paura di niente e di nessuno, gli sferrò un colpo basso che lo ferì profondamente: mise in giro la voce che Senna fosse gay. La sua vita subì un forte contraccolpo e mai, i due, fecero pace.
E poi, Alain Prost. Il suo rivale numero uno. Quello che gli sbarrava la strada, in Ferrari prima e in Williams poi, mettendo come clausola contrattuale che Ayrton non venisse assunto nella stessa scuderia. Duelli epici, tra i due. Indimenticabili. Tanto che, quando quella domenica mattina, Ayrton, dall’abitacolo della macchina, in diretta con la tv fancese mandò un messaggio a Prost “Mi manchi, Alain”, lasciò tutti basiti e perplessi. Era il segno che dentro di lui qualcosa si era rotto.
Ayrton Senna andò a sbattere contro il muro del Tamburello, e tutti pensammo che no, a lui no, non poteva succedere. Ma quando la macchina si fermò e la sua testa si mosse per un attimo, tutti noi, sapevamo già che non c’era più niente da fare. Sid Watkins raccontò: “Fece un profondo sospiro. Il suo volto era tranquillo. Sembrava stesse dormendo. E mentre mi trovavo lì a soccorrerlo provai la strana sensazione che la sua anima lo stesse lasciando”.
Sperammo, attendemmo tutto il pomeriggio, davanti alla tv. Aspettando i bollettini medici dell’Ospedale Maggiore di Bologna che, prima di cena, ci fecero smettere di respirare: “Alle ore 18.40 Ayrton Senna non presentava alcuna attività cardiaca. E’ morto”.
http://www.barbadillo.it/24075-libri-suite-200-lultima-notte-di-ayrton-senna-luomo-il-campione-i-dolori/
sábado, 31 de maio de 2014
L'incontro con Montezemolo: "Ayrton Senna voleva chiudere la carriera in Ferrari"
"Lui voleva la Ferrari e io lo volevo in squadra. Poiché era in Italia per il Gran Premio di San Marino, ci incontrammo nella mia casa di Bologna mercoledì 27 aprile. Mi disse che apprezzava molto la posizione che avevamo preso contro l'eccesso nell'utilizzo degli ausili elettronici per la guida che non facevano emergere il reale valore dei singoli piloti".
Trattative già avanzate. Con queste parole, pubblicate oggi sul sito della Scuderia Ferrari, Luca di Montezemolo ha svelato i retroscena di una trattativa già avanzata con Ayrton Senna, per portare il tricampione del mondo brasiliano in Ferrari. "Parlammo a lungo e mi disse in modo chiaro che voleva chiudere la sua carriera alla Ferrari dopo esserci andato vicino qualche anno prima. Ci accordammo per rivederci presto in modo da capire come superare i vincoli contrattuali che aveva in quel momento".
Il sogno di chiudere in Ferrari. L'incontro, avvenuto soltanto quattro giorni prima della tragica scomparsa di Magic, sembrava davvero preludere a un matrimonio, quello fra Senna e Maranello, che avrebbe fatto letteralmente impazzire milioni di appassionati in tutto il mondo: "Entrambi concordavamo sul fatto che per un pilota come lui la Ferrari sarebbe stata il normale sbocco per rendere la sua carriera, già brillantissima, addirittura unica", ricorda Montezemolo. Poi, il destino, vent'anni fa, ha fatto il suo tragico corso.
http://www.quattroruote.it/news/formula_1/2014/04/30/ayrton_senna_l_incontro_con_montezemolo_voleva_chiudere_la_carriera_in_ferrari_.html
Trattative già avanzate. Con queste parole, pubblicate oggi sul sito della Scuderia Ferrari, Luca di Montezemolo ha svelato i retroscena di una trattativa già avanzata con Ayrton Senna, per portare il tricampione del mondo brasiliano in Ferrari. "Parlammo a lungo e mi disse in modo chiaro che voleva chiudere la sua carriera alla Ferrari dopo esserci andato vicino qualche anno prima. Ci accordammo per rivederci presto in modo da capire come superare i vincoli contrattuali che aveva in quel momento".
Il sogno di chiudere in Ferrari. L'incontro, avvenuto soltanto quattro giorni prima della tragica scomparsa di Magic, sembrava davvero preludere a un matrimonio, quello fra Senna e Maranello, che avrebbe fatto letteralmente impazzire milioni di appassionati in tutto il mondo: "Entrambi concordavamo sul fatto che per un pilota come lui la Ferrari sarebbe stata il normale sbocco per rendere la sua carriera, già brillantissima, addirittura unica", ricorda Montezemolo. Poi, il destino, vent'anni fa, ha fatto il suo tragico corso.
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Ayrton Senna: Il volto triste di un vincente
Cosa ci resta di Ayrton Senna da Silva a 20 anni da quel crudele Primo maggio imolese inondato di sole e di margherite? Una tristezza vaga, il languore per qualcosa che si è perso e non tornerà più, perché troppo è cambiato da allora. Senna è tante cose. Senna è una grandissima responsabilità per chi ne scrive: ogni dettaglio della sua vita è stato raccontato e romanzato, eppure continua a stringere la bocca dello stomaco di così tanti appassionati. Anche dopo due generazioni di piloti più vincenti di lui, ma incapaci di scaldare il cuore come lui. Senna è un’idea, un luogo dello spirito che si raggiunge pronunciando un bisillabo aperto e dove si torna in certe occasioni speciali della giornata, o della vita.
Senna è, prima di tutto, un volto. Questo ci resta davvero di lui, più dei tre Mondiali, dei 41 Gran Premi vinti e delle 65 pole collezionate in carriera. L’espressione tormentata di chi è alla costante e febbrile ricerca di un appagamento che, lui lo sapeva, non sarebbe mai arrivato. Lo sguardo deciso di chi non ti lascerà mai un metro per passare. Occhi come uno scanner per capire subito di che pasta sei fatto, campione o comprimario, cedevole o veloce. La brama era il suo segreto, l’elemento filosofale che catalizzava le altre qualità che fanno un pilota di Formula 1: «Non ho idoli. Ammiro il lavoro, la dedizione e la competenza». Alla competizione Senna dedicò tutto se stesso, con intensità insuperabile.
Forse per questo Senna aveva sempre quell’espressione corrucciata, perennemente in cerca della perfezione. Impossibile conquistarne lo sguardo e l’attenzione a lungo: era sempre altrove, lontano, perso in chissà quale valutazione. Intervistarlo era difficilissimo. Con quella parlata dolce e l’intonazione da adolescente, svelava pensieri profondi e portava la conversazione dove voleva lui: «Gli chiedevi di Prost e parlava delle gomme, gli chiedevi delle gomme e parlava di Dio», raccontava in redazione l’inviato sportivo di un quotidiano. Era imprendibile anche sul taccuino: quanti piloti sono rimasti, così? Sui circuiti però la bocca si apriva a stento al sorriso, le labbra si piegavano nell’insoddisfazione, perché il giro migliore, la vittoria più bella, è sempre quella che deve ancora arrivare. Nessun pilota di Formula 1 ha più avuto un viso così intenso e magnetico. Tantomeno Michael Schumacher, il campione che ha saputo riunire il Circus mediatico attorno alla sua camera d’ospedale, ma che Ayrton detestava al punto di arrivare a prenderlo per il bavero ai box dopo uno sgarbo in pista. Perché con lui non si scherzava. Dicevano che in pista danzasse come un lottatore di capoeira, colpiva deciso e leggero solleticando le leggi della fisica. Spericolato, coraggioso? Ron Dennis non perdeva mai l’occasione di ricordare l’intelligenza dell’uomo, prima della determinazione e della smisurata carica agonistica del campione.
L’insoddisfazione gliela si poteva leggere negli occhi già sul podio del Gran Premio di Montecarlo nel 1984, al suo primo anno in Formula 1, dopo aver acceso sotto la pioggia battente la rivalità di una vita con Alain Prost. Esitava, impacciato, con la coppetta del secondo posto in mano davanti a Ranieri di Monaco e a Carolina, prima che fosse sbrigativamente invitato a lasciare il palco al vincitore. Nell’allontanarsi si lasciò sfuggire un sorriso di felicità lunga come una curva fatta in pieno. Si vedeva che là sopra avrebbe voluto esserci lui. Voleva quanto gli spettava, tutto e subito. Avrebbe atteso un anno per averlo (Estoril, 1985).
Fuori dall’abitacolo di una Formula 1, Senna emanava un misto di carisma, dolcezza e determinazione che sapeva di umana contraddizione. Forse perché la sua fu una ricerca impossibile della gioia. Le donne e i soldi non gli erano mai mancati, non era per quello che correva. Era la perfezione che inseguiva. «Non saprete mai cosa prova un pilota quando vince una corsa. Il casco nasconde sentimenti che non possono essere compresi». Sfilato quel casco verde e oro, vent’anni dopo vediamo che il nome associato al volto si è trasformato in un brand sfruttato da 45 aziende diverse su oltre 200 prodotti e capace di generare sette milioni di dollari all’anno, in buona parte devoluti alla Fondazione che si batte per la scolarizzazione dei bambini brasiliani più svantaggiati. Senna continua a essere l’icona della classe senza tempo sulle pagine pubblicitarie dei marchi di moda e sulle copertine delle riviste maschili. Nemmeno a James Hunt, la rockstar della Formula 1 congelata nel mito e celebrata dal film “Rush”, è riuscito tanto. Era bello a modo suo Senna, e dannato dalla voglia di stare là davanti. Quando l’elettronica invase la Formula 1, fu capace di interpretare la figura del pilota scientifico senza cedere alla macchina, rivendicando il predominio del cuore. In tempi in cui l’onnipresenza delle pubbliche relazioni non aveva ancora chiuso la bocca ai piloti, con il professor Prost animò uno degli ultimi grandi duelli all’ultima staccata della Formula 1, prima che i sorpassi si spostassero dalle curve ai box. Gilles Villeneuve diventò mito vincendo appena sei Gran Premi e oggi per chi ha meno di 40 anni resta un nome, o poco più. Invece Senna ebbe la fortuna di affermarsi mentre la televisione s’impadroniva della Formula 1. La sua vita è stata un reality brillante e gli appassionati lo adorarono subito, anche se non era italiano e guidava la Ferrari come Michele Alboreto.
Se n’è andato a 34 anni senza un livido, Senna. Eternamente giovane e vincente. Il suo feretro lasciò Bologna tra due ali di applausi e atterrò in una San Paolo inconsolabile, rotta dai singhiozzi. Sulla sua lapide è scritto: “Niente può separarmi dall’amore di Dio”. E nemmeno da quello, grandissimo, di chi l’ha visto correre.
http://www.quattroruote.it/news/eventi/2014/04/30/ayrton_senna_da_silva_il_viso_triste_di_un_vincente.html
Senna è, prima di tutto, un volto. Questo ci resta davvero di lui, più dei tre Mondiali, dei 41 Gran Premi vinti e delle 65 pole collezionate in carriera. L’espressione tormentata di chi è alla costante e febbrile ricerca di un appagamento che, lui lo sapeva, non sarebbe mai arrivato. Lo sguardo deciso di chi non ti lascerà mai un metro per passare. Occhi come uno scanner per capire subito di che pasta sei fatto, campione o comprimario, cedevole o veloce. La brama era il suo segreto, l’elemento filosofale che catalizzava le altre qualità che fanno un pilota di Formula 1: «Non ho idoli. Ammiro il lavoro, la dedizione e la competenza». Alla competizione Senna dedicò tutto se stesso, con intensità insuperabile.
Forse per questo Senna aveva sempre quell’espressione corrucciata, perennemente in cerca della perfezione. Impossibile conquistarne lo sguardo e l’attenzione a lungo: era sempre altrove, lontano, perso in chissà quale valutazione. Intervistarlo era difficilissimo. Con quella parlata dolce e l’intonazione da adolescente, svelava pensieri profondi e portava la conversazione dove voleva lui: «Gli chiedevi di Prost e parlava delle gomme, gli chiedevi delle gomme e parlava di Dio», raccontava in redazione l’inviato sportivo di un quotidiano. Era imprendibile anche sul taccuino: quanti piloti sono rimasti, così? Sui circuiti però la bocca si apriva a stento al sorriso, le labbra si piegavano nell’insoddisfazione, perché il giro migliore, la vittoria più bella, è sempre quella che deve ancora arrivare. Nessun pilota di Formula 1 ha più avuto un viso così intenso e magnetico. Tantomeno Michael Schumacher, il campione che ha saputo riunire il Circus mediatico attorno alla sua camera d’ospedale, ma che Ayrton detestava al punto di arrivare a prenderlo per il bavero ai box dopo uno sgarbo in pista. Perché con lui non si scherzava. Dicevano che in pista danzasse come un lottatore di capoeira, colpiva deciso e leggero solleticando le leggi della fisica. Spericolato, coraggioso? Ron Dennis non perdeva mai l’occasione di ricordare l’intelligenza dell’uomo, prima della determinazione e della smisurata carica agonistica del campione.
L’insoddisfazione gliela si poteva leggere negli occhi già sul podio del Gran Premio di Montecarlo nel 1984, al suo primo anno in Formula 1, dopo aver acceso sotto la pioggia battente la rivalità di una vita con Alain Prost. Esitava, impacciato, con la coppetta del secondo posto in mano davanti a Ranieri di Monaco e a Carolina, prima che fosse sbrigativamente invitato a lasciare il palco al vincitore. Nell’allontanarsi si lasciò sfuggire un sorriso di felicità lunga come una curva fatta in pieno. Si vedeva che là sopra avrebbe voluto esserci lui. Voleva quanto gli spettava, tutto e subito. Avrebbe atteso un anno per averlo (Estoril, 1985).
Fuori dall’abitacolo di una Formula 1, Senna emanava un misto di carisma, dolcezza e determinazione che sapeva di umana contraddizione. Forse perché la sua fu una ricerca impossibile della gioia. Le donne e i soldi non gli erano mai mancati, non era per quello che correva. Era la perfezione che inseguiva. «Non saprete mai cosa prova un pilota quando vince una corsa. Il casco nasconde sentimenti che non possono essere compresi». Sfilato quel casco verde e oro, vent’anni dopo vediamo che il nome associato al volto si è trasformato in un brand sfruttato da 45 aziende diverse su oltre 200 prodotti e capace di generare sette milioni di dollari all’anno, in buona parte devoluti alla Fondazione che si batte per la scolarizzazione dei bambini brasiliani più svantaggiati. Senna continua a essere l’icona della classe senza tempo sulle pagine pubblicitarie dei marchi di moda e sulle copertine delle riviste maschili. Nemmeno a James Hunt, la rockstar della Formula 1 congelata nel mito e celebrata dal film “Rush”, è riuscito tanto. Era bello a modo suo Senna, e dannato dalla voglia di stare là davanti. Quando l’elettronica invase la Formula 1, fu capace di interpretare la figura del pilota scientifico senza cedere alla macchina, rivendicando il predominio del cuore. In tempi in cui l’onnipresenza delle pubbliche relazioni non aveva ancora chiuso la bocca ai piloti, con il professor Prost animò uno degli ultimi grandi duelli all’ultima staccata della Formula 1, prima che i sorpassi si spostassero dalle curve ai box. Gilles Villeneuve diventò mito vincendo appena sei Gran Premi e oggi per chi ha meno di 40 anni resta un nome, o poco più. Invece Senna ebbe la fortuna di affermarsi mentre la televisione s’impadroniva della Formula 1. La sua vita è stata un reality brillante e gli appassionati lo adorarono subito, anche se non era italiano e guidava la Ferrari come Michele Alboreto.
Se n’è andato a 34 anni senza un livido, Senna. Eternamente giovane e vincente. Il suo feretro lasciò Bologna tra due ali di applausi e atterrò in una San Paolo inconsolabile, rotta dai singhiozzi. Sulla sua lapide è scritto: “Niente può separarmi dall’amore di Dio”. E nemmeno da quello, grandissimo, di chi l’ha visto correre.
http://www.quattroruote.it/news/eventi/2014/04/30/ayrton_senna_da_silva_il_viso_triste_di_un_vincente.html
quinta-feira, 29 de maio de 2014
Ayrton Senna: Velocidad, alma y emoción
Con prisa y sin pausa pasó raudo por la existencia; unos lo consideran el mejor piloto de la historia del automovilismo, para otros fue un inescrupuloso ganador.
Corrió. Ganó. Murió. Vivió como un rayo, cayó como un trueno. Más que un sueño, era una realidad. Toda su vida fue una carrera para ser el primero, porque el segundo es el primero de los perdedores. Sus rivales lo detestaban por soberbio, arrogante, perfeccionista, pero en particular por ser el más rápido.
¿Deidad o demonio? Ayrton Senna da Silva, Senninha, disputó 161 Grandes Premios, tricampeón mundial de Fórmula Uno, obtuvo 41 victorias, 65 en “pole position” y 80 podios. Comenzó a correr en karts casi en pañales y creía que un halo divino lo protegía en las pistas, hasta aquel 1 de mayo de hace 20 años.
Como una serpentina infernal, a 320 kilómetros/hora, chocó de frente contra un muro de contención en la pista de Ímola, en San Marino. Una pieza de su monoplaza le atravesó la visera del casco. Saltaron sus sesos. Un pozo de sangre quedó sobre el asfalto. Su cuerpo parecía un monigote.
Transcurrió una eternidad. 75 segundos. Los equipos de rescate sacaron el cuerpo de Ayrton entre los miles de pedazos de la carrocería, suspensiones y ruedas del bólido fatal. Todo fue inútil y tras dos horas en el hospital, ningún equipo ni maniobra médica lo volvió a la vida.
Brasil entró en trance. Histeria, llanto, desesperación. Dos millones de dolientes abrieron paso al féretro, custodiado por una guardia de soldados en traje de gala. Una escuadrilla de aviones trazó señales en el cielo; la gente aplaudía, lloraba, lanzaba papeles de colores y flores al cortejo. La vida seguía… pero sin Senna.
En el mundo de la velocidad Ayrton tenía el apodo de “Mágico”, un poco por su incombustible fe en Dios y otro por su temeridad al conducir en las condiciones menos propicias, pero sobre todo por ser uno de los más grandes pilotos de Fórmula Uno, el archimillonario negocio de las carreras donde los autos y los conductores solo son piezas intercambiables.
La muerte de Senna fue “una infelicidad, pero la publicidad generada fue tanta… Fue buena para la Fórmula Uno. Fue una pena que hubiésemos perdido a Ayrton para que eso ocurriera...” dijo sin tapujos –al periódico Folha de Sao Paulo en el 2009– el todopoderoso zar del automovilismo Bernard “Bernie” Ecclestone.
Este anciano –de 83 años– ha sido por décadas la mano negra de los Grandes Premios; acusado de sobornos a banqueros y a políticos británicos, la revista Forbes lo ubica como el cuarto hombre más rico de Gran Bretaña, con una fortuna estimada en casi $5 mil millones.
El negocio de la Fórmula Uno es el acontecimiento deportivo que mayor facturación registra en el mundo; de acuerdo con un estudio basado en la cantidad de carreras y los días de competición.
Anualmente moviliza casi $2 mil millones, por cuotas de las escuderías, patrocinios publicitarios, transmisiones televisivas y alrededor de este gira un mundo que mezcla el deporte, el glamour y el dinero… que nunca deja de rugir.
El más rápido
Ese día sentía pocas ganas de correr; un mal presentimiento lo rondaba. Aunque creía en Dios, Senna tenía un “agüizote”: dar dos vueltas alrededor del circuito. Esa vez hizo tres.
Ya sea en la favela Rocinha o en la Ciudad Jardín, donde algunos ubican la casa más cara de Brasil valorada en $80 millones, el nombre de Ayrton Senna se pronuncia con sagrado respeto, como si fuera el Cristo del Corcovado.
Tampoco es para menos. Una encuesta realizada en el año 2000 reveló que Senna era más conocido que Pedro Álvarez de Cabral –descubridor de Brasil– y Pelé.
Si bien para muchos Ayrton era un héroe, casi un semidios, vino al mundo de una manera convencional, el 21 de marzo de 1960, en el hogar de Neide Senna da Silva y Milton da Silva. Llevó una vida acomodada con sus hermanos Vivianne y Leonardo.
Así como unos pocos poseen talento artístico para el arte o la ciencia, desde niño Senninha demostró su genio para los motores y la velocidad; el padre le fabricó un coche a pedales en un taller casero.
A los cuatro años ya metía ruido por toda la casa con un raquítico carrillo. A los ocho plantó cara a rivales que le doblaban la edad y a los 13 participó en la primera competencia; al poco tiempo quedó de primero en el Circuito de Interlagos. Venció en varios campeonatos de karting y afinó su destreza para conducir bajo la lluvia, sin duda, su mayor virtud.
Ayrton padecía de una suerte de “engarrotamiento” muscular y la vibración de los kart contribuyó a suavizarlos; lo que empezó como una terapia terminó en una obsesión.
Para destacar en las carreras se ocupa algo más que ganas: ¡Mucho dinero! Y aunque la familia no pasaba necesidades, tampoco podía pagarle a Senna una afición tan cara.
Recién salido de la adolescencia se marchó a Europa a probar suerte en las pistas y se estableció en Inglaterra, en 1981. Un año después fue campeón europeo y británico de la Fórmula Ford 200 y a los 23 años campeón británico de la Fórmula 3.
La vida no era fácil para Ayrton. Apenas hablaba inglés y el portugués en lugar de abrirle puertas, le construía paredes. En Alemania el público lo insultaba y gritaban el nombre de su eterno rival, Alain Prost; ya se sabe que alemanes solo son los pura sangre.
Con tesón superó la barrera idiomática, salía a la calle a escuchar y captar el sonido de las palabras; compró libros de gramática inglesa, veía televisión y estaba empeñado en hablar inglés mejor que un locutor de la B.B.C.
Así como unos hablan con los caballos; Ayrton conversaba con los carros. En 1985 fue contratado por Lotus y en 1988 alcanzó su primer Campeonato Mundial de Fórmula Uno.
A comienzos de 1989, Ayrton Senna era considerado por los especialistas como el máximo favorito para alzarse de nuevo con el título de esa temporada, pero un extraño fallo en el Circuito de Suzuka, Japón, le arrebató el galardón.
Con 30 años Senna ganó el segundo mundial de Fórmula Uno, con victorias en los grandes premios de Estados Unidos, Mónaco, Canadá, Alemania, Bélgica e Italia. Repitió en 1991 e igualó en títulos a Jack Brabham, Jackie Stewart, Niki Lauda, Nelson Piquet y Alain Prost.
El año de su muerte, 1994, firmó con la escudería Williams y en los primeros meses probó el nuevo Williams-Renault FW16, del que se mostró bastante satisfecho.
Amores y motores
Después de los carros, solo las mujeres aceleraban a Senna. En sus amoríos eran tan rápido como en las pistas.
La lista de amantes parecía una buena mano de black jack: 21. Era un omnívoro y lo mismo le daba que fuera una “cadela” –a los 13 años– o una supermodelo, recepcionista, presentadora de televisión o nada más que le cayera bien en una noche de celebración.
Hubo bocones, como Nelson Piquet y Alain Prost, que lo tildaron de maricón y de hacer orgías con sus mecánicos. Los infundios surgieron para atajar la popularidad mundial de Ayrton, o tal vez, porque Senna incluyó a la esposa de Prost entre sus conquistas. ¡Sabrá Dios!, lo cierto es que fueron a los tribunales y Piquet se retractó de sus “lengonadas”.
Ya sea en Ayrton: el héroe revelado, del periodista Ernesto Rodríguez; en la multitud de revistas y programas de chismes, o en El camino de las mariposas, de Adriane Galisteu, las competencias eróticas de Senna rivalizan con sus victorias en la Fórmula Uno.
Entre las más sonadas figuran Galisteu y María da Gracia Meneghel. Esta última ni su madre la conoce así, igual que todo el planeta solo responde por Xuxa, la reina de los “baxinhos”. Allá por los años 80 Xuxa enloqueció a una generación de niños con su programa infantil La hora de jugar y la empalagosa pieza: “Brinca brinca, palma palma y danzando sin parar…ilari, ilari, ilarié..oh!.oh!.oh!”, rodeada de una curvilíneas cadetes.
En el olvido quedó Lilian Vasconcelos Souza, su única esposa, con la cual se casó a los 20 años; vivieron ocho meses y se divorciaron. Nada se interponía en las ambiciones de Ayrton y aunque ella lo acompañó a Londres, en 1980, él apenas nunca tenía tiempo para ella.
Usaba el anillo de matrimonio en una cadenita colgada al cuello, porque según él “le estorbaba en la mano cuando conducía”. Así que la mandó a freir espárragos.
Con ninguna tuvo hijos. Marcella Prado –una modelo– intentó endosarle post-mortem a su hija Victoria de Barros Goncalves, pero las pruebas de ADN demostraron que la paternidad era falsa. Por tanto, no tendría derecho a la fortuna del automovilista, estimada en $300 millones y que cada año crecía en unos $100 millones a causa de las licencias, patrocinios y explotación del nombre del piloto.
Xuxa y Adriane nada tenían en común. La primera era más famosa que Senna; millonaria y liberada para nada lo ocupaba y este pretendía que ella dejara su carrera para verlo desde la gradería. Se encontraban cada vez que podían pero era una relación muy difícil. “Tuve la persona justa en el momento errado, pensé esperar un poco para reencontrarla después y hoy lloro por mi error” dijo Xuxa tras la muerte de Ayrton.
Ambas, Xuxa –especie de viuda sin título, y Adriane– la arribista y trepadora- se encontraron en el funeral del ídolo; pero la familia las trató diferente.
Pocos lo conocieron de verdad. Para unos era huraño, agresivo y feroz en la pista; pero tenía un magnetismo místico. Nunca ha habido un piloto tan querido, admirado y respetado; y jamás una carrera tan desgraciada como la de Ímola, donde Ayrton habló –esta vez de verdad– con Dios.
http://www.nacion.com/ocio/tv-radio/Pagina-Negra-Ayrton-Senna-Velocidad_0_1412458749.html
Corrió. Ganó. Murió. Vivió como un rayo, cayó como un trueno. Más que un sueño, era una realidad. Toda su vida fue una carrera para ser el primero, porque el segundo es el primero de los perdedores. Sus rivales lo detestaban por soberbio, arrogante, perfeccionista, pero en particular por ser el más rápido.
¿Deidad o demonio? Ayrton Senna da Silva, Senninha, disputó 161 Grandes Premios, tricampeón mundial de Fórmula Uno, obtuvo 41 victorias, 65 en “pole position” y 80 podios. Comenzó a correr en karts casi en pañales y creía que un halo divino lo protegía en las pistas, hasta aquel 1 de mayo de hace 20 años.
Como una serpentina infernal, a 320 kilómetros/hora, chocó de frente contra un muro de contención en la pista de Ímola, en San Marino. Una pieza de su monoplaza le atravesó la visera del casco. Saltaron sus sesos. Un pozo de sangre quedó sobre el asfalto. Su cuerpo parecía un monigote.
Transcurrió una eternidad. 75 segundos. Los equipos de rescate sacaron el cuerpo de Ayrton entre los miles de pedazos de la carrocería, suspensiones y ruedas del bólido fatal. Todo fue inútil y tras dos horas en el hospital, ningún equipo ni maniobra médica lo volvió a la vida.
En el mundo de la velocidad Ayrton tenía el apodo de “Mágico”, un poco por su incombustible fe en Dios y otro por su temeridad al conducir en las condiciones menos propicias, pero sobre todo por ser uno de los más grandes pilotos de Fórmula Uno, el archimillonario negocio de las carreras donde los autos y los conductores solo son piezas intercambiables.
La muerte de Senna fue “una infelicidad, pero la publicidad generada fue tanta… Fue buena para la Fórmula Uno. Fue una pena que hubiésemos perdido a Ayrton para que eso ocurriera...” dijo sin tapujos –al periódico Folha de Sao Paulo en el 2009– el todopoderoso zar del automovilismo Bernard “Bernie” Ecclestone.
Este anciano –de 83 años– ha sido por décadas la mano negra de los Grandes Premios; acusado de sobornos a banqueros y a políticos británicos, la revista Forbes lo ubica como el cuarto hombre más rico de Gran Bretaña, con una fortuna estimada en casi $5 mil millones.
El negocio de la Fórmula Uno es el acontecimiento deportivo que mayor facturación registra en el mundo; de acuerdo con un estudio basado en la cantidad de carreras y los días de competición.
Anualmente moviliza casi $2 mil millones, por cuotas de las escuderías, patrocinios publicitarios, transmisiones televisivas y alrededor de este gira un mundo que mezcla el deporte, el glamour y el dinero… que nunca deja de rugir.
El más rápido
Ese día sentía pocas ganas de correr; un mal presentimiento lo rondaba. Aunque creía en Dios, Senna tenía un “agüizote”: dar dos vueltas alrededor del circuito. Esa vez hizo tres.
Ya sea en la favela Rocinha o en la Ciudad Jardín, donde algunos ubican la casa más cara de Brasil valorada en $80 millones, el nombre de Ayrton Senna se pronuncia con sagrado respeto, como si fuera el Cristo del Corcovado.
Tampoco es para menos. Una encuesta realizada en el año 2000 reveló que Senna era más conocido que Pedro Álvarez de Cabral –descubridor de Brasil– y Pelé.
Si bien para muchos Ayrton era un héroe, casi un semidios, vino al mundo de una manera convencional, el 21 de marzo de 1960, en el hogar de Neide Senna da Silva y Milton da Silva. Llevó una vida acomodada con sus hermanos Vivianne y Leonardo.
Así como unos pocos poseen talento artístico para el arte o la ciencia, desde niño Senninha demostró su genio para los motores y la velocidad; el padre le fabricó un coche a pedales en un taller casero.
A los cuatro años ya metía ruido por toda la casa con un raquítico carrillo. A los ocho plantó cara a rivales que le doblaban la edad y a los 13 participó en la primera competencia; al poco tiempo quedó de primero en el Circuito de Interlagos. Venció en varios campeonatos de karting y afinó su destreza para conducir bajo la lluvia, sin duda, su mayor virtud.
Ayrton padecía de una suerte de “engarrotamiento” muscular y la vibración de los kart contribuyó a suavizarlos; lo que empezó como una terapia terminó en una obsesión.
Para destacar en las carreras se ocupa algo más que ganas: ¡Mucho dinero! Y aunque la familia no pasaba necesidades, tampoco podía pagarle a Senna una afición tan cara.
Recién salido de la adolescencia se marchó a Europa a probar suerte en las pistas y se estableció en Inglaterra, en 1981. Un año después fue campeón europeo y británico de la Fórmula Ford 200 y a los 23 años campeón británico de la Fórmula 3.
La vida no era fácil para Ayrton. Apenas hablaba inglés y el portugués en lugar de abrirle puertas, le construía paredes. En Alemania el público lo insultaba y gritaban el nombre de su eterno rival, Alain Prost; ya se sabe que alemanes solo son los pura sangre.
Con tesón superó la barrera idiomática, salía a la calle a escuchar y captar el sonido de las palabras; compró libros de gramática inglesa, veía televisión y estaba empeñado en hablar inglés mejor que un locutor de la B.B.C.
Así como unos hablan con los caballos; Ayrton conversaba con los carros. En 1985 fue contratado por Lotus y en 1988 alcanzó su primer Campeonato Mundial de Fórmula Uno.
A comienzos de 1989, Ayrton Senna era considerado por los especialistas como el máximo favorito para alzarse de nuevo con el título de esa temporada, pero un extraño fallo en el Circuito de Suzuka, Japón, le arrebató el galardón.
Con 30 años Senna ganó el segundo mundial de Fórmula Uno, con victorias en los grandes premios de Estados Unidos, Mónaco, Canadá, Alemania, Bélgica e Italia. Repitió en 1991 e igualó en títulos a Jack Brabham, Jackie Stewart, Niki Lauda, Nelson Piquet y Alain Prost.
Ayrton Senna - Giorgio Ascanelli - Gerhard Berger - Josef Leberer - 1993 |
El año de su muerte, 1994, firmó con la escudería Williams y en los primeros meses probó el nuevo Williams-Renault FW16, del que se mostró bastante satisfecho.
Amores y motores
Después de los carros, solo las mujeres aceleraban a Senna. En sus amoríos eran tan rápido como en las pistas.
La lista de amantes parecía una buena mano de black jack: 21. Era un omnívoro y lo mismo le daba que fuera una “cadela” –a los 13 años– o una supermodelo, recepcionista, presentadora de televisión o nada más que le cayera bien en una noche de celebración.
Ayrton Senna - Cindy Crawford - 1990 |
Hubo bocones, como Nelson Piquet y Alain Prost, que lo tildaron de maricón y de hacer orgías con sus mecánicos. Los infundios surgieron para atajar la popularidad mundial de Ayrton, o tal vez, porque Senna incluyó a la esposa de Prost entre sus conquistas. ¡Sabrá Dios!, lo cierto es que fueron a los tribunales y Piquet se retractó de sus “lengonadas”.
Ya sea en Ayrton: el héroe revelado, del periodista Ernesto Rodríguez; en la multitud de revistas y programas de chismes, o en El camino de las mariposas, de Adriane Galisteu, las competencias eróticas de Senna rivalizan con sus victorias en la Fórmula Uno.
Entre las más sonadas figuran Galisteu y María da Gracia Meneghel. Esta última ni su madre la conoce así, igual que todo el planeta solo responde por Xuxa, la reina de los “baxinhos”. Allá por los años 80 Xuxa enloqueció a una generación de niños con su programa infantil La hora de jugar y la empalagosa pieza: “Brinca brinca, palma palma y danzando sin parar…ilari, ilari, ilarié..oh!.oh!.oh!”, rodeada de una curvilíneas cadetes.
En el olvido quedó Lilian Vasconcelos Souza, su única esposa, con la cual se casó a los 20 años; vivieron ocho meses y se divorciaron. Nada se interponía en las ambiciones de Ayrton y aunque ella lo acompañó a Londres, en 1980, él apenas nunca tenía tiempo para ella.
Usaba el anillo de matrimonio en una cadenita colgada al cuello, porque según él “le estorbaba en la mano cuando conducía”. Así que la mandó a freir espárragos.
Con ninguna tuvo hijos. Marcella Prado –una modelo– intentó endosarle post-mortem a su hija Victoria de Barros Goncalves, pero las pruebas de ADN demostraron que la paternidad era falsa. Por tanto, no tendría derecho a la fortuna del automovilista, estimada en $300 millones y que cada año crecía en unos $100 millones a causa de las licencias, patrocinios y explotación del nombre del piloto.
Xuxa y Adriane nada tenían en común. La primera era más famosa que Senna; millonaria y liberada para nada lo ocupaba y este pretendía que ella dejara su carrera para verlo desde la gradería. Se encontraban cada vez que podían pero era una relación muy difícil. “Tuve la persona justa en el momento errado, pensé esperar un poco para reencontrarla después y hoy lloro por mi error” dijo Xuxa tras la muerte de Ayrton.
Ambas, Xuxa –especie de viuda sin título, y Adriane– la arribista y trepadora- se encontraron en el funeral del ídolo; pero la familia las trató diferente.
Pocos lo conocieron de verdad. Para unos era huraño, agresivo y feroz en la pista; pero tenía un magnetismo místico. Nunca ha habido un piloto tan querido, admirado y respetado; y jamás una carrera tan desgraciada como la de Ímola, donde Ayrton habló –esta vez de verdad– con Dios.
http://www.nacion.com/ocio/tv-radio/Pagina-Negra-Ayrton-Senna-Velocidad_0_1412458749.html
domingo, 25 de maio de 2014
Ayrton Senna, l'empreinte indélébile à Monaco
Vingt ans après sa disparition, le funambule brésilien, six fois vainqueurs à Monaco, figure toujours en pole position au palmarès. Retour sur une histoire d'amour hors norme.
C'était hier. Le 3 juin 1984. Trente ans déjà. Le jour de la révélation. Ciel plombé. Circuit détrempé. Sur le toboggan plus que jamais pavé de mauvaises intentions du Grand Prix de Monaco, une modeste Toleman-Hart brave les trombes d'eau. Revenue de nulle part, elle semble rouler dans une autre dimension. René Arnoux, Keke Rosberg et Niki Lauda n'ont pu endiguer la déferlante. Doublés. Largués. Devant, il ne reste plus que la McLaren-Porsche d'un certain Alain Prost. Une cible en passe d'être à son tour submergée, effacée, lorsque le drapeau à damier abrège la course pour raisons de sécurité (voir ci-dessous).
C'était hier. Le 15 mai 1994. Vingt ans déjà. Le jour du recueillement. Deux semaines après ce sombre dimanche où l'irréversible s'est produit, là-bas, dans la courbe de Tamburello, à Imola… Quelques instants avant la mise à feu d'une course orpheline, sur la ligne de départ, ici à Monaco… La confrérie des pilotes réunie pour un poignant hommage autour de ses compatriotes Rubens Barrichello et Christian Fittipaldi qui tiennent un drapeau brésilien à son effigie barré de ce salut définitif au héros trop tôt disparu : « Adeus Ayrton ».
« Un lien très fort, très spécial »
Entre ces deux extrémités, une décennie s'est écoulée. La décennie Senna durant laquelle l'as du volant né à São Paulo aura apposé son empreinte de géant au palmarès du monument monégasque. Griffe unique. Trace indélébile.
Six victoires, cinq pole positions, quatre meilleurs tours en course : sur ce champ d'action à nul autre pareil, le génie brésilien a tutoyé le firmament comme personne. Vingt ans après son ultime échappée, il trône toujours seul, là-haut, un étage au-dessus de Michael Schumacher et Graham Hill (cinq succès chacun en Principauté). Celui qui le rejoindra est-il déjà né ?
« Tout le monde le sait, entre Ayrton et Monaco, il y avait un lien très spécial, très fort, comme une histoire d'amour. » Présente en Principauté, cette semaine, Viviane Senna, la sœur d'Ayrton, qui perpétue la flamme à travers l'Institut éponyme créé en 1994 au profit des enfants défavorisés, trouve tout de suite les mots justes pour dépeindre la relation hors norme entre l'étoile et la piste. « Au-delà des victoires et des titres, je m'aperçois que les gens se rappellent de ses qualités humaines. Détermination. Recherche de la perfection. Tout cela lui a permis de devenir un grand champion, dans la vie comme dans son sport. »
Au sommet de son art
Parmi les temps forts de son règne monégasque figure, bien sûr, la première glorieuse. 1987 : aux commandes de la 99T à suspension hydraulique active motorisée par Renault, il offre à Lotus sa septième et dernière victoire sur le mythique tourniquet. S'ensuit la fabuleuse période McLaren. Si un péché de gourmandise l'expédie dans le rail du Portier alors qu'il caracolait en tête avec une valise d'avance (54''), au 67e tour du GP 1988, le meilleur ennemi du Professeur va dicter son étourdissant discours de la méthode durant cinq ans d'affilée, de 1989 à 1993. En multipliant les coups d'éclat, tel ce tour de magie, son chrono numéro 1 (1'20''344), côté qualif', établi à 150,711 km/h de moyenne, le 11 mai 1991. En apnée. En lévitation. Au sommet de son art. Ou encore l'adieu triomphal signé lors de la 40e édition, le 23 mai 1993, après s'être élancé en 3e position derrière Prost et Schumacher…
Nico Rosberg s'en rappelle comme si c'était hier. « Il s'agit de l'un de mes premiers souvenirs estampillés F1, se remémore le tenant du trophée. Le dimanche matin, je dormais sur le toit d'un bateau et c'est le vacarme du warm-up qui me réveillait. J'apercevais alors son casque jaune et sa monoplace blanche et rouge débouler à la sortie du tunnel. Un bruit et une image que je ne pourrai jamais oublier. »
C'était hier. Le 3 juin 1984. Trente ans déjà. Le jour de la révélation. Ciel plombé. Circuit détrempé. Sur le toboggan plus que jamais pavé de mauvaises intentions du Grand Prix de Monaco, une modeste Toleman-Hart brave les trombes d'eau. Revenue de nulle part, elle semble rouler dans une autre dimension. René Arnoux, Keke Rosberg et Niki Lauda n'ont pu endiguer la déferlante. Doublés. Largués. Devant, il ne reste plus que la McLaren-Porsche d'un certain Alain Prost. Une cible en passe d'être à son tour submergée, effacée, lorsque le drapeau à damier abrège la course pour raisons de sécurité (voir ci-dessous).
C'était hier. Le 15 mai 1994. Vingt ans déjà. Le jour du recueillement. Deux semaines après ce sombre dimanche où l'irréversible s'est produit, là-bas, dans la courbe de Tamburello, à Imola… Quelques instants avant la mise à feu d'une course orpheline, sur la ligne de départ, ici à Monaco… La confrérie des pilotes réunie pour un poignant hommage autour de ses compatriotes Rubens Barrichello et Christian Fittipaldi qui tiennent un drapeau brésilien à son effigie barré de ce salut définitif au héros trop tôt disparu : « Adeus Ayrton ».
« Un lien très fort, très spécial »
Entre ces deux extrémités, une décennie s'est écoulée. La décennie Senna durant laquelle l'as du volant né à São Paulo aura apposé son empreinte de géant au palmarès du monument monégasque. Griffe unique. Trace indélébile.
Six victoires, cinq pole positions, quatre meilleurs tours en course : sur ce champ d'action à nul autre pareil, le génie brésilien a tutoyé le firmament comme personne. Vingt ans après son ultime échappée, il trône toujours seul, là-haut, un étage au-dessus de Michael Schumacher et Graham Hill (cinq succès chacun en Principauté). Celui qui le rejoindra est-il déjà né ?
« Tout le monde le sait, entre Ayrton et Monaco, il y avait un lien très spécial, très fort, comme une histoire d'amour. » Présente en Principauté, cette semaine, Viviane Senna, la sœur d'Ayrton, qui perpétue la flamme à travers l'Institut éponyme créé en 1994 au profit des enfants défavorisés, trouve tout de suite les mots justes pour dépeindre la relation hors norme entre l'étoile et la piste. « Au-delà des victoires et des titres, je m'aperçois que les gens se rappellent de ses qualités humaines. Détermination. Recherche de la perfection. Tout cela lui a permis de devenir un grand champion, dans la vie comme dans son sport. »
Au sommet de son art
Parmi les temps forts de son règne monégasque figure, bien sûr, la première glorieuse. 1987 : aux commandes de la 99T à suspension hydraulique active motorisée par Renault, il offre à Lotus sa septième et dernière victoire sur le mythique tourniquet. S'ensuit la fabuleuse période McLaren. Si un péché de gourmandise l'expédie dans le rail du Portier alors qu'il caracolait en tête avec une valise d'avance (54''), au 67e tour du GP 1988, le meilleur ennemi du Professeur va dicter son étourdissant discours de la méthode durant cinq ans d'affilée, de 1989 à 1993. En multipliant les coups d'éclat, tel ce tour de magie, son chrono numéro 1 (1'20''344), côté qualif', établi à 150,711 km/h de moyenne, le 11 mai 1991. En apnée. En lévitation. Au sommet de son art. Ou encore l'adieu triomphal signé lors de la 40e édition, le 23 mai 1993, après s'être élancé en 3e position derrière Prost et Schumacher…
Nico Rosberg s'en rappelle comme si c'était hier. « Il s'agit de l'un de mes premiers souvenirs estampillés F1, se remémore le tenant du trophée. Le dimanche matin, je dormais sur le toit d'un bateau et c'est le vacarme du warm-up qui me réveillait. J'apercevais alors son casque jaune et sa monoplace blanche et rouge débouler à la sortie du tunnel. Un bruit et une image que je ne pourrai jamais oublier. »
http://www.nicematin.com/grand-prix-de-monaco/ayrton-senna-lempreinte-indelebile-a-monaco.1754061.html
terça-feira, 20 de maio de 2014
Ayrton Senna, the great Champion of Formula 1
AYRTON SENNA AFTER THIS GREAT CHAMPION FORMULA 1 HAS NEVER BEEN THE SAME
World Championships
3
Grand Prix Entries
162
Grand Prix Wins
41
Pole Positions
65
Nationality
Brazilian
History
He streaked through the sport like a comet, an other-worldly superstar whose brilliance as a driver was matched by a dazzling intellect and coruscating charisma that illuminated Formula One racing as never before. No one tried harder or pushed himself further, nor did anyone shed so much light on the extremes to which only the greatest drivers go. Intensely introspective and passionate in the extreme, Ayrton Senna endlessly sought to extend his limits, to go faster than himself, a quest that ultimately made him a martyr but did not diminish his mystique.
Ayrton Senna da Silva was born on March 21, 1960, into a wealthy Brazilian family where, with his brother and sister, he enjoyed a privileged upbringing. He never needed to race for money but his deep need for racing began with an infatuation for a miniature go-kart his father gave him when he was four years old.
As a boy the highlights of Ayrton’s life were Grand Prix mornings when he awoke trembling with anticipation at the prospect of watching his Formula One heroes in action on television. At 13 he raced a kart for the first time and immediately won. Eight years later he went single-seater racing in Britain, where in three years he won five championships.
At Monaco (a race he would win six times), his sensational second to Alain Prost’s McLaren – in torrential rain – was confirmation of the phenomenal talent that would take the sport by storm.
Deciding Toleman’s limited resources were inadequate for his towering ambition, Senna bought out his contract and in 1985 moved to Lotus, where in three seasons he started from pole 16 times (he eventually won a record 65) and won six races. Having reached the limits of Lotus he decided the fastest way forward would be with McLaren, where he went in 1988 and stayed for six seasons, winning 35 races and three world championships.
In 1988, when McLaren-Honda won 15 of the 16 races, Senna beat his team mate Alain Prost eight wins to seven to take his first driving title. In 1989 Prost took the title by taking Senna out at the Suzuka chicane. In 1990 Senna extracted revenge at Suzuka’s first corner, winning his second championship by taking out Prost’s Ferrari at Suzuka’s first corner. Senna’s third title, in 1991, was straightforward as his domination as a driver became even more pronounced, as did his obsession with becoming better still. Some of his greatest performances came in his final year with McLaren, following which he moved to Williams for the ill-fated 1994 season.
Beyond his driving genius Senna was one of the sport’s most compelling personalities. Though slight in stature he possessed a powerful physical presence, and when he spoke, with his warm brown eyes sparkling and his voice quavering with intensity, his eloquence was spellbinding. Even the most jaded members of the Formula One fraternity were mesmerised by his passionate soliloquies and in his press conferences you could hear a pin drop as he spoke with such hypnotic effect.
His command performances were captured by the media and the world at large became aware of Senna’s magnetic appeal.
Everyone marvelled at how he put so much of himself, his very soul, into everything he did, not just his driving but into life itself. Behind the wheel the depth of his commitment was there for all to see and the thrilling spectacle of Senna on an all-out qualifying lap or a relentless charge through the field evoked an uneasy combination of both admiration for his superlative skill and fear for his future.
Senna revealed he had discovered religion Prost and others suggested he was a dangerous madman who thought God was his co-pilot. “Senna is a genius,” Martin Brundle said. “I define genius as just the right side of imbalance. He is so highly developed to the point that he’s almost over the edge. It’s a close call."
His self-absorption did not preclude deep feelings for humanity and he despaired over the world’s ills. He loved children and gave millions of his personal fortune (estimated at $400 million when he died) to help provide a better future for the underprivileged in Brazil. Early in 1994 he spoke about his own future. “I want to live fully, very intensely. I would never want to live partially, suffering from illness or injury. If I ever happen to have an accident that eventually costs my life, I hope it happens in one instant.”
And so it did, on May 1, 1994, in the San Marino Grand Prix, where his race-leading Williams inexplicably speared off the Imola track and hit the concrete wall at Tamburello corner. Millions saw it happen on television, the world mourned his passing and his state funeral in Sao Paulo was attended by many members of the shocked Formula One community. Among the several drivers escorting the coffin was Alain Prost. Among the sad mourners was Frank Williams, who said: “Ayrton was no ordinary person. He was actually a greater man out of the car than in it.”
World Championships
3
Grand Prix Entries
162
Grand Prix Wins
41
Pole Positions
65
Nationality
Brazilian
History
He streaked through the sport like a comet, an other-worldly superstar whose brilliance as a driver was matched by a dazzling intellect and coruscating charisma that illuminated Formula One racing as never before. No one tried harder or pushed himself further, nor did anyone shed so much light on the extremes to which only the greatest drivers go. Intensely introspective and passionate in the extreme, Ayrton Senna endlessly sought to extend his limits, to go faster than himself, a quest that ultimately made him a martyr but did not diminish his mystique.
Ayrton Senna da Silva was born on March 21, 1960, into a wealthy Brazilian family where, with his brother and sister, he enjoyed a privileged upbringing. He never needed to race for money but his deep need for racing began with an infatuation for a miniature go-kart his father gave him when he was four years old.
As a boy the highlights of Ayrton’s life were Grand Prix mornings when he awoke trembling with anticipation at the prospect of watching his Formula One heroes in action on television. At 13 he raced a kart for the first time and immediately won. Eight years later he went single-seater racing in Britain, where in three years he won five championships.
At Monaco (a race he would win six times), his sensational second to Alain Prost’s McLaren – in torrential rain – was confirmation of the phenomenal talent that would take the sport by storm.
Deciding Toleman’s limited resources were inadequate for his towering ambition, Senna bought out his contract and in 1985 moved to Lotus, where in three seasons he started from pole 16 times (he eventually won a record 65) and won six races. Having reached the limits of Lotus he decided the fastest way forward would be with McLaren, where he went in 1988 and stayed for six seasons, winning 35 races and three world championships.
In 1988, when McLaren-Honda won 15 of the 16 races, Senna beat his team mate Alain Prost eight wins to seven to take his first driving title. In 1989 Prost took the title by taking Senna out at the Suzuka chicane. In 1990 Senna extracted revenge at Suzuka’s first corner, winning his second championship by taking out Prost’s Ferrari at Suzuka’s first corner. Senna’s third title, in 1991, was straightforward as his domination as a driver became even more pronounced, as did his obsession with becoming better still. Some of his greatest performances came in his final year with McLaren, following which he moved to Williams for the ill-fated 1994 season.
Beyond his driving genius Senna was one of the sport’s most compelling personalities. Though slight in stature he possessed a powerful physical presence, and when he spoke, with his warm brown eyes sparkling and his voice quavering with intensity, his eloquence was spellbinding. Even the most jaded members of the Formula One fraternity were mesmerised by his passionate soliloquies and in his press conferences you could hear a pin drop as he spoke with such hypnotic effect.
His command performances were captured by the media and the world at large became aware of Senna’s magnetic appeal.
Everyone marvelled at how he put so much of himself, his very soul, into everything he did, not just his driving but into life itself. Behind the wheel the depth of his commitment was there for all to see and the thrilling spectacle of Senna on an all-out qualifying lap or a relentless charge through the field evoked an uneasy combination of both admiration for his superlative skill and fear for his future.
Senna revealed he had discovered religion Prost and others suggested he was a dangerous madman who thought God was his co-pilot. “Senna is a genius,” Martin Brundle said. “I define genius as just the right side of imbalance. He is so highly developed to the point that he’s almost over the edge. It’s a close call."
His self-absorption did not preclude deep feelings for humanity and he despaired over the world’s ills. He loved children and gave millions of his personal fortune (estimated at $400 million when he died) to help provide a better future for the underprivileged in Brazil. Early in 1994 he spoke about his own future. “I want to live fully, very intensely. I would never want to live partially, suffering from illness or injury. If I ever happen to have an accident that eventually costs my life, I hope it happens in one instant.”
And so it did, on May 1, 1994, in the San Marino Grand Prix, where his race-leading Williams inexplicably speared off the Imola track and hit the concrete wall at Tamburello corner. Millions saw it happen on television, the world mourned his passing and his state funeral in Sao Paulo was attended by many members of the shocked Formula One community. Among the several drivers escorting the coffin was Alain Prost. Among the sad mourners was Frank Williams, who said: “Ayrton was no ordinary person. He was actually a greater man out of the car than in it.”
segunda-feira, 19 de maio de 2014
Remembering Ayrton Senna at the 20th anniversary of his death
Thursday 1st May 2014 marked the 20th anniversary of the great Senna’s death and whilst some might argue differently, his death was not in vain as the safety regulations in Formula One have never been better.
Some will say Michael Schumacher, others might point to the likes of five-time world champion Juan Manuel Fangio but there can be no doubt about it, Ayrton Senna is most certainly up there with the very best.
If you’ve never seen Asif Kapadia’s amazing film documentary ‘Senna’ then do yourself a favour, crack open a cold one and stick it on, you won’t be disappointed.
Senna died on May 1, 1994 at the San Marino Grand Prix. He was only 34 years-old and he had won three world championships.
The day before Senna’s death, Austrian rookie driver Roland Ratzenberger was killed during qualification and it was later revealed that after his death an Austrian flag was found inside the cockpit of Senna’s wrecked Williams F1 car - he intended to wave the Austrian flag at the end of the race as a mark of respect for Ratzenberger.
The reason Ayrton Senna is still celebrated as one of the greatest drivers and perhaps the greatest personality F1 has ever seen is because Senna, the man, transcended the sport.
Many men and women who don’t know the first thing about Senna know exactly who you’re talking about when you mention the name Senna. He was bigger than life itself.
Although some might try and argue that the edge has been taken off F1 because of the safety regulations, I would like to see them stay calm inside the small cockpit of a V6 powered F1 car in Monaco - even trying to picture it makes go all queasy.
Since Senna’s death the FIA have been on a constant health and safety mission. Driving F1 cars has never been more safe but that doesn’t mean the sport is without risk.
Let’s be honest, travelling inches above the ground at speeds in excess of 200mph is pretty damn terrifying. Many of us say we’d like to try it out but very few of us actually could pull it off.
It’s precisely because of the risk and the speed that many like me are attracted to F1 but that shouldn’t mean it should come at the expense of a driver.
Senna was one of the greatest and was most likely acutely aware that he might die on the track but that didn’t stop him. Although he was the last driver to lose his life he was most certainly not the last to risk it.
It’s easy to criticise F1 and don’t get me wrong there are many rules I would like to see scrapped and many changes I would like to see made but as far as I am concerned the spirit of Ayrton Senna is alive in drivers like Lewis Hamilton, Fernando Alonso, Sebastian Vettel and Nico Rosberg.
The spirit Ayrton Senna is almost impossible to put into words but if you’ve followed even one or two of his races you will know exactly what I am talking about.
Ayrton Senna might be gone but the F1 family, drivers and fans included, will never forget him.
He was a prince amongst oil, metal and petrol. He was a genius in the rain but most of all he was Ayrton Senna.
Source: http://www.derryjournal.com/news/columnists/ayrton-senna-20-years-on-we-ll-never-forget-1-6036471
Ayrton Senna - Monaco 1993 - Victory |
Some will say Michael Schumacher, others might point to the likes of five-time world champion Juan Manuel Fangio but there can be no doubt about it, Ayrton Senna is most certainly up there with the very best.
If you’ve never seen Asif Kapadia’s amazing film documentary ‘Senna’ then do yourself a favour, crack open a cold one and stick it on, you won’t be disappointed.
Senna died on May 1, 1994 at the San Marino Grand Prix. He was only 34 years-old and he had won three world championships.
The day before Senna’s death, Austrian rookie driver Roland Ratzenberger was killed during qualification and it was later revealed that after his death an Austrian flag was found inside the cockpit of Senna’s wrecked Williams F1 car - he intended to wave the Austrian flag at the end of the race as a mark of respect for Ratzenberger.
The reason Ayrton Senna is still celebrated as one of the greatest drivers and perhaps the greatest personality F1 has ever seen is because Senna, the man, transcended the sport.
Many men and women who don’t know the first thing about Senna know exactly who you’re talking about when you mention the name Senna. He was bigger than life itself.
Although some might try and argue that the edge has been taken off F1 because of the safety regulations, I would like to see them stay calm inside the small cockpit of a V6 powered F1 car in Monaco - even trying to picture it makes go all queasy.
Since Senna’s death the FIA have been on a constant health and safety mission. Driving F1 cars has never been more safe but that doesn’t mean the sport is without risk.
Let’s be honest, travelling inches above the ground at speeds in excess of 200mph is pretty damn terrifying. Many of us say we’d like to try it out but very few of us actually could pull it off.
It’s precisely because of the risk and the speed that many like me are attracted to F1 but that shouldn’t mean it should come at the expense of a driver.
Ayrton Senna on the starting grid, at Imola 1994 |
It’s easy to criticise F1 and don’t get me wrong there are many rules I would like to see scrapped and many changes I would like to see made but as far as I am concerned the spirit of Ayrton Senna is alive in drivers like Lewis Hamilton, Fernando Alonso, Sebastian Vettel and Nico Rosberg.
The spirit Ayrton Senna is almost impossible to put into words but if you’ve followed even one or two of his races you will know exactly what I am talking about.
Ayrton Senna might be gone but the F1 family, drivers and fans included, will never forget him.
He was a prince amongst oil, metal and petrol. He was a genius in the rain but most of all he was Ayrton Senna.
Source: http://www.derryjournal.com/news/columnists/ayrton-senna-20-years-on-we-ll-never-forget-1-6036471
Motor Renault na Lotus 98T de Ayrton Senna, 1986
(POR) Ayrton Senna foi em 1986 o piloto número 1 indiscutível na equipe Lotus, enquanto o jovem e inexperiente Dumfries lutava para se familiarizar com os ameaçadores carros F1 turbo. O brasileiro imediatamente mostrou a velocidade bruta da nova 98T no começo da temporada em Brasil. Ele qualificou o carro na pole, mas depois teve que lutar na corrida para chegar no segundo. O motor Renault não era claramente tão econômico como os Hondas e TAG-Porsche usados pela concorrência. Nas restantes catorze corridas naquela temporada, Senna qualificaria a Renault com motor Lotus 98T na pole mais seis vezes.
(ENG) In 1985 Lotus had returned to their winning ways for the first time since the sudden death of company founder Colin Chapman in 1982. The 98T fielded 1986 was not an evolution of the previous season's machine but featured a brand new tub.
The reason for Gerard Ducarouge to draw up a new chassis was a change in the fuel-cell limitations. The maximum size had been slightly cut in order to slow gas-guzzling turbos down a little. The French designer used this to create a more compact monocoque. For the first time a one-piece moulded composite structure was used. The front double wishbone suspension was carried over from the previous cars with a heavily revised geometry. At the rear an adjustable ride-height system was used for most of the races. Another novelty was the implementation of a six-speed gearbox The aerodynamic package also received some tweaks but it takes a keen eye to distinguish the 98T from its immediate predecessor.
Senna was the undisputed number 1 driver in the team, while the young and unexperienced Dumfries struggled to get to grips with the menacing turbocharged F1 cars. The Brazilian immediately showcased the raw speed of the new 98T at his season opening home race. He qualified the car on pole but then had to feather the throttle in the race to make it home in second. The Renault engine was clearly not as frugal as the Hondas and TAG-Porsches used by the competition. In the remaining fourteen races that season, Senna would qualify the Renault engined Lotus 98T on pole six more times.
(ENG) In 1985 Lotus had returned to their winning ways for the first time since the sudden death of company founder Colin Chapman in 1982. The 98T fielded 1986 was not an evolution of the previous season's machine but featured a brand new tub.
Estoril - Portugal 1985 |
The reason for Gerard Ducarouge to draw up a new chassis was a change in the fuel-cell limitations. The maximum size had been slightly cut in order to slow gas-guzzling turbos down a little. The French designer used this to create a more compact monocoque. For the first time a one-piece moulded composite structure was used. The front double wishbone suspension was carried over from the previous cars with a heavily revised geometry. At the rear an adjustable ride-height system was used for most of the races. Another novelty was the implementation of a six-speed gearbox The aerodynamic package also received some tweaks but it takes a keen eye to distinguish the 98T from its immediate predecessor.
Ayrton Senna - Bernie Ecclestone - 1986 |
Senna was the undisputed number 1 driver in the team, while the young and unexperienced Dumfries struggled to get to grips with the menacing turbocharged F1 cars. The Brazilian immediately showcased the raw speed of the new 98T at his season opening home race. He qualified the car on pole but then had to feather the throttle in the race to make it home in second. The Renault engine was clearly not as frugal as the Hondas and TAG-Porsches used by the competition. In the remaining fourteen races that season, Senna would qualify the Renault engined Lotus 98T on pole six more times.
sábado, 17 de maio de 2014
Fotos inéditas mostram Ayrton Senna pescando em sítio no interior de Sao Paulo
Visita aconteceu quatro meses antes do piloto morrer em acidente na Itália. Dono da propriedade, amigo do pai de Senna, conta detalhes da estadia do ídolo no sítio
A morte de um ídolo levanta uma série de descobertas e histórias. A tragédia envolvendo o piloto de Fórmula 1 Ayrton Senna, que completou 20 anos no último 1° de maio, não poderia ser diferente. Uma família de Cândido Mota, cidade a cerca de 430 km da capital paulista, reserva uma história rica em imagens.
O registro de um dos últimos momentos do ídolo em solo brasileiro faz parte do acervo que a família guarda após receber o piloto em seu sítio. Mas como o piloto foi parar em um sítio em Cândido Mota? O dono da propriedade, Ivo Guiotti, investia na piscicultura e tinha o pai de Ayrton, Milton Senna, como parceiro comercial e amigo pessoal.
– Nosso relacionamento começou quando eu vendi peixes para ele colocar na Fazenda em Tatuí. Ele chegava lá e ia direto pro tanque pescar – conta Guiotti.
O vídeo que a família guarda mostra o tricampeão mundial de Fórmula 1 fazendo o que mais gostava quando não estava nas pistas: pescar. O vídeo caseiro, gravado em fita VHS, foi feito a pouco menos de quatros meses da tragédia na curva de Tamburello, em Ímola, na Itália.
O dia 10 de janeiro de 1994 ficou marcado na memória da família Guiotti e de Ayrton Senna, que comentou a derrota no tanque de pesca. Conhecido por não aceitar as derrotas, Senna foi vencido por um peixe, que arrebentou a linha e deixou o piloto irritado.
Na maior parte do vídeo, as imagens mostram um Ayrton Senna descontraído e alegre, totalmente desligado da pressão que começaria a sofrer meses depois quando estreou na Williams. Durante todo o tempo, a única coisa que o interessava era a pescaria. Senna tinha planos de levar o ex-companheiro de McLaren Gerhard Berger para o sítio no interior de São Paulo.
– A única coisa que ele falou sobre corrida foi sobre a possibilidade de trazer o Berger pra cá. Disse que viria de helicóptero na próxima vez – revela Guiotti.
Mas não foi a habilidade como pescador e muito menos a vontade de vencer que mais chamaram a atenção das pessoas que passaram o dia todo com Senna. A simplicidade do piloto conquistou a todos. Para tirar foto segurando um peixe, Ayrton não hesitou em tirar a camisa, e na hora do almoço, Senna recusou um banquete e dispensou o garçom contratado para servir o ídolo durante e estadia.
– Eu perguntei o que ele podia comer. Me respondeu que se tivesse arroz, feijão e ovo comeria – recorda o proprietário do sítio.
Dono do sítio onde Ayrton Senna ficou em um dos últimos momentos no Brasil, Ivo Guiotti tem a memória, os vídeos e muitas fotos. Um acervo que até hoje é preservado e que não está à venda.
Fonte http://globoesporte.globo.com/sp/sorocaba/noticia/2014/05/video-inedito-mostra-ayrton-senna-pescando-em-sitio-no-interior-de-sp.html
A morte de um ídolo levanta uma série de descobertas e histórias. A tragédia envolvendo o piloto de Fórmula 1 Ayrton Senna, que completou 20 anos no último 1° de maio, não poderia ser diferente. Uma família de Cândido Mota, cidade a cerca de 430 km da capital paulista, reserva uma história rica em imagens.
O registro de um dos últimos momentos do ídolo em solo brasileiro faz parte do acervo que a família guarda após receber o piloto em seu sítio. Mas como o piloto foi parar em um sítio em Cândido Mota? O dono da propriedade, Ivo Guiotti, investia na piscicultura e tinha o pai de Ayrton, Milton Senna, como parceiro comercial e amigo pessoal.
– Nosso relacionamento começou quando eu vendi peixes para ele colocar na Fazenda em Tatuí. Ele chegava lá e ia direto pro tanque pescar – conta Guiotti.
O vídeo que a família guarda mostra o tricampeão mundial de Fórmula 1 fazendo o que mais gostava quando não estava nas pistas: pescar. O vídeo caseiro, gravado em fita VHS, foi feito a pouco menos de quatros meses da tragédia na curva de Tamburello, em Ímola, na Itália.
O dia 10 de janeiro de 1994 ficou marcado na memória da família Guiotti e de Ayrton Senna, que comentou a derrota no tanque de pesca. Conhecido por não aceitar as derrotas, Senna foi vencido por um peixe, que arrebentou a linha e deixou o piloto irritado.
Na maior parte do vídeo, as imagens mostram um Ayrton Senna descontraído e alegre, totalmente desligado da pressão que começaria a sofrer meses depois quando estreou na Williams. Durante todo o tempo, a única coisa que o interessava era a pescaria. Senna tinha planos de levar o ex-companheiro de McLaren Gerhard Berger para o sítio no interior de São Paulo.
– A única coisa que ele falou sobre corrida foi sobre a possibilidade de trazer o Berger pra cá. Disse que viria de helicóptero na próxima vez – revela Guiotti.
Mas não foi a habilidade como pescador e muito menos a vontade de vencer que mais chamaram a atenção das pessoas que passaram o dia todo com Senna. A simplicidade do piloto conquistou a todos. Para tirar foto segurando um peixe, Ayrton não hesitou em tirar a camisa, e na hora do almoço, Senna recusou um banquete e dispensou o garçom contratado para servir o ídolo durante e estadia.
– Eu perguntei o que ele podia comer. Me respondeu que se tivesse arroz, feijão e ovo comeria – recorda o proprietário do sítio.
Dono do sítio onde Ayrton Senna ficou em um dos últimos momentos no Brasil, Ivo Guiotti tem a memória, os vídeos e muitas fotos. Um acervo que até hoje é preservado e que não está à venda.
Fonte http://globoesporte.globo.com/sp/sorocaba/noticia/2014/05/video-inedito-mostra-ayrton-senna-pescando-em-sitio-no-interior-de-sp.html
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